Che sono fisicamente sul pianeta Terra, ma mentalmente non so. Probabilmente ancora dentro la Fiera del Libro di Torino, a cercare timbri e libri e fumetti e Susanna Messaggio. Tornare alla vita di tutti i giorni è qualcosa di complicato, quando hai intravisto una sua versione alternativa che ti è piaciuta molto.
Poi, ovvio, come tutte le cose nuove e belle rapisce, ma dopo sei mesi, magari, già vorresti essere di nuovo in ufficio, seduto alla scrivania, a maltrattare clienti. Però, per ora, mi godo lo spaesamento, che sebbene sia destabilizzante, ha anche un suo fascino. L’importante è trovare l’equilibrio tra l’essere con la testa altrove e la revisione dell’auto, la lavatrice da fare, le cene organizzate.
Scrivo. Ho cominciato a riflettere su come mi ha cambiato essere stato pubblicato, sto cercando di capire se ho imparato qualcosa o se sono ancora lo stesso scrittore di prima. Un’amica mi ha detto “ora sei un esordiente, non sei più uno che ancora aspira alla pubblicazione”. Le ho detto che, peggio, ora sono uno che vuole essere pubblicato ancora, perché dopo che ti danno la prima dose, vorresti averne altre. E quindi ho ripreso il mio libro prima di questo, è lì che mi guarda e io guardo lui e ci penso, penso a com’era scritto e sento che stride, che non mi ci riconosco del tutto. Mi risuonano in testa le parole dell’editore, lezioni sul libro che è stato pubblicato che potrebbero applicarsi anche a quello. Ci guardiamo di sottecchi, ma sappiamo entrambi che possiamo provare a vedere se è cambiato qualcosa, oltre alla mia percezione, e se posso migliorarlo ancora.
L’editore ha un suo blog e ho letto una frase che mi è piaciuta molto e che riporto: “Scrivere di sé è un po’ come aggiustarsi. Talvolta, addirittura, ci si può dare una seconda chanche.”
Spesso ho pensato alle proprietà curative per l’animo che ha scrivere e, ogni tanto, ho anche pensato che scrivendo sto meglio, mi sento più realizzato.
Ma è tutto molto avvolto in una strana nube che rende i contorni indistinti e quindi non metto a fuoco, ma mi godo lo stordimento.
E i Beatles che c’entrano? Niente. Ma la canzone è bellissima, in questi giorni la canto e la suono molto ed è collegata a un libro bellissimo che è stato uno di quelli che mi ha fatto ricominciare a scrivere e il cerchio si chiude.
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Magari non c’entra nulla, ma quando FINALMENTE sono riuscito a fare il mio primo placcaggio a Rugby il tempo si è fermato.
È stato un movimanto istintivo, pulito, perfetto. Quentin è andato giù come se non fosse mai stato in piedi e la palla è rotolata due metri più in la.
È durato venti secondi, poi mi sono rialzato in fretta perché comuque c’era un altro compagno fidiput che aveva raccolto la palla e stava correndo verso la meta.
E li mi sono detto “Uno giù, ne restano altri quattordici” e avevo male dappertutto, i polmono in fiamme e sorridevo.
Cristo quanto sorridevo.
Al lavoro 🙂