È stato qualche anno fa, quando cominciai a seguire Weeds. E Weeds aveva una colonna sonora eccezionale e tra un pezzone e l’altro li sentii cantare If I ever leave this world alive e me ne innamorai. Per lungo tempo l’ho ascoltata, ma non sono mai andato a scovare altri pezzi loro. Fino a quando, un paio di anni fa, non ho cercato l’album dove era contenuta la canzone, perché volevo allargare le mie conoscenze musicale. I Flogging Molly sono una band californiana, il cui cantante è di Dublino, e suonano un punk folk abbastanza esagitato, ma con le classiche ballatone strappa magliette.
Li ho persi nell’estate del 2011 e li ho trovato pochi giorni fa, in una giornata piovosa al limite della bufera. Sono saliti sul palco e io ho deciso di vederli da lì sotto, senza rifugiarmi nella sicurezza delle ultime file. “Sono i Flogging Molly – mi sono detto, – mica i Metallica: chi vuoi che poghi?”. Inutile dire che alle prime note il pubblico ha cominciato a saltare e dare spallate e gomitate e dopo i primi tre minuti ho pensato “Vaffanculo, io mi levo”. Poi la classica botta d’orgoglio mi ha convinto a restare lì sotto.
E ho fatto bene.
Sono state due ore di salti e di canti a squarciagola. Di applausi e di mani alzate. Ho cantato Devil’s dance floor e Whistles the wind. Ho avuto modo di saltare su The deadly Seven Sins e su What’s left of the flag. Ho sudato, ho preso gomitate nelle costole, ho schiacciato piedi atterrandoci sopra. Ho scaricato i nervi. Ho urlato fino a non avere voce. Mi sono commosso cantando The son never shines, mentre ricordavo tante cose. Sono tornato a casa esausto, non mi sentivo più le gambe e ho dormito quattro ore, prima di alzarmi e andare al lavoro.
Ma ho visto i Flogging Molly e mi hanno divertito ed esaltato come nei loro dischi e mi hanno fatto stare bene per due. lunghe. fottute. ore. E questo è quanto di meglio uno possa chiedere, spesso e volentieri.
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