Indiana Jones: [complimenting Sophia] In this light you look just like Vivien Leigh.
Sophia Hapgood: Frankly Indy, I don’t give a damn.
È notizia di oggi che la Disney ha chiuso la Lucasarts, branca produttiva dell’impero di George Lucas, dedicata allo sviluppo di videogames. Se siete appassionati o dei nerd o dei nerd appassionati la conoscete perché ha dato vita a capolavori nel campo delle avventure grafiche, le cosiddette “punta e clicca”. Probabilmente conoscete Monkey Island (a cui la saga dei Pirati dei Caraibi, attrazione Disneyland a parte, deve moltissimo), conoscete Loom, Maniac Mansion, Day of the Tentacle, Sam & Max e anche quel gioiellino sottovalutato di Grim Fandango. Probabilmente, se appassionati di Guerre Stellari, avete avuto modo di giocare alla saga di Kyle Katarn, tramite Jedi Knight e Jedi Outcast o avete provato a conquistare la galassia con Rebellion (mai riuscito a finire, tra l’altro). Insomma, la Lucasarts ha regalato emozioni e bei giochi per anni, creando quello che possiamo definire IL modo in cui si scriveva e realizzava un’avventura grafica (il suo sistema SCUMM ha fatto scuola e nessuno è mai riuscito a eguagliarlo, diciamocelo).
Ma quello che ricordo tutt’ora con maggiore affetto è Indiana Jones e il Destino di Atlantide. Gli altri erano bellissimi, sia chiaro, adoro il nonsense di Monkey Island e il genio del sistema musicale di Loom e le tre linee temporali di Day of the Tentacle, ma quell’avventura grafica lì mi faceva interpretare Indiana Fuckin’ Jones. Semplicemente uno dei miei idoli d’infanzia, che potevo utilizzare per scazzottate, indagini, frustate e tutto quello che serviva per mettersi con Sophia sulle tracce della leggendaria Atlantide, in una corsa contro il tempo e contro i nazisti (io la odio, quella gente). C’era l’umorismo di Indy e della Lucasarts, c’erano enigmi a volte cervellotici, ambientazioni esotiche, il tema dell’archeologo e, quando si viaggiava da una destinazione all’altra, la classica mappa con la linea rossa che si spostava, lungo il tragitto.
E c’era Indy che era Indy ed era meraviglioso. E quando finivi rimanevi lì, a pensare che ne volevi ancora e ancora e ancora.
La Lucasarts oggi chiude e credo che siamo la prima generazione che si vede strappato via in modo così inaspettato un bel ricordo di infanzia. Ma comunque grazie per tutti i sogni regalati.
Non è un bellissimo modo per cominciare la nuova gestione, va detto…
Con tutti quelli che ho giocato, con tutto quel che ho amato gli Indy, Loom, The Dig buggato, i Monkey Island, senza contare la mia paura ad avvicinarmi a Grim Fandango, è da ore che continuo a ripetermi “Meanwhile, in a secret room a lot closer than you might think…”.
Zak McKraaaaaawwww…
L’ha ribloggato su sallyscrivee ha commentato:
ecco.