Stasera ero inquieto e sono uscito per scrivere un po’. Non avevo voglia di sedermi al chiosco dei gelati e mi sono fermato a un locale vicino a casa, dove mi sono seduto su un divano, fuori, e ho ordinato da bere. Mi hanno portato il mio cocktail dentro un barattolo di latta ed è in momento come questi, in cui non capisci il senso delle cose, che cominci ad accettare che stai invecchiando.
Davanti a me, oltre la vetrata, un ragazzo e una ragazza in quello che è chiaramente un appuntamento. Seduti dentro, a un tavolino, hanno chiacchierato e bevuto. Lei ha preso un bicchiere di vino bianco e lui una birra. Parlano tanto, con quella furia e quell’interesse classico delle persone che si conoscono da poco e si piacciono e sperano che le cose evolvano in quella direzione che ti porta a poggiare le tue labbra su quelle dell’altra (superiori, grandi, piccole).
Lei indossa una maglietta bianca che le lascia scoperte le spalle, un paio di jeans aderenti e delle orribili ciabattine che dio solo sa perché le ha messe addosso. Non è magra, è un po’ in carne, ma porta quei jeans aderenti e quella maglietta stretta sui fianchi con una confidenza e una sicurezza che le invidio molto, io che mi guardo allo specchio duecento volte al giorno per vedere se i capelli, se la barba, se gli occhiali, se la maglietta, ma tanto non mi piaccio mai.
Lui indossa dei jeans e una camicia e porta gli occhiali scuri sopra i capelli, il che fa sospettare che l’appuntamento sia cominciato molto presto, quando ancora c’era un po’ di sole, in questo martedì di Settembre così piovoso.
Sono usciti fuori a fumare e sono lì, davanti a me, che parlano. Lei, a un certo punto ha preso il cellulare e ha controllato qualcosa, mentre lui parlava e ho pensato che l’avesse persa. Ma poi è tornata a guardarlo, sorridente. Lui guarda le tre tizie che sono venute a sedersi vicino a me, che parlano ad alta voce, ma ogni tanto la guarda, come a rassicurarla che la tiene d’occhio.
Fumano tanto, le mani si muovono incessantemente, mentre le parole fluiscono inarrestabili, come l’acqua che scorre a valle, come quando metti troppa acqua nel vaso dei fiori e questa tracima sul pavimento.
A un certo punto lei ha spostato il suo sgabello più vicino a lui e parlano e si guardano negli occhi e mi chiedo come mai lui non l’abbia ancora baciata, quando i segnali ci sono tutti.
Sono belli, a vedersi, perché sono contenti di essere qui, ma potrebbe essere ovunque, purché l’altro sia presente. Mentre scrivo li osservo, guardo lei che poggia la sua mano sulla gamba di lui e lui che inclina la testa e aggrotta la fronte, come se volesse fare molta attenzione a quello che lei gli sta dicendo.
Accanto a me le tre tizie si raccontano dei problemi di una delle tre con uno che non l’ha richiamata e concordano per mandargli un qualche messaggio in cui lo mandano a quel paese. È strano ascoltarle, mentre quei due sono persi nel loro appuntamento.
E sto qui. Scrivo. Li osservo. Aspetto che si bacino.
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