La settimana scorsa è venuto a mancare, in maniera del tutto inaspettata, Aldo Colombini. Il nome alla maggior parte di voi non dirà niente, ma nell’ambiente magico era uno dei prestigiatori italiani più conosciuti, apprezzati e amati, a livello internazionale e non. Aldo era di Maranello, aveva lavorato per la Ferrari, ma odiava quel lavoro e aveva cominciato a fare il mago a tempo pieno. Ho visto uno spezzone di una sua intervista dove motivava la cosa dicendo che in quell’anno aveva viaggiato per il mondo 285 giorni su 365 e che quello era il paradiso e che quindi, comprensibilmente, stare otto ore in un’officina per lui era una prigione. Martedì c’è stata una serata dedicata a lui e ho detto due parole. Sono alcune riflessioni su di lui, come persona e comunicatore, e sull’atteggiamento che si ha, quando si è considerati “qualcuno”. Le metto qui, perché dopo ho avuto modo di chiacchierare con chi era presente e mi è stato detto che c’erano degli spunti interessanti.
Buonasera a tutti,
non fatevi spaventare dal foglio, sarò molto breve perché vorrei lasciare la parola a chi era più intimo di Aldo, rispetto a me. Non vi mentirò dicendo che avevamo un gran rapporto, che ci si abbracciava, quando ci si incontrava, che eravamo ottimi amici, perché l’ho visto una volta sola.
Sono arrivato a Bologna nel 2006 e quell’Ottobre mi sono iscritto a questo club. La conferenza di Aldo è stata la prima conferenza che ho visto, perché da dove venivo io non c’erano club magici e YouTube ancora non spopolava, ai tempi, come ora. Ho un ricordo di Aldo di una persona gentile, divertente e divertita e amichevole. Oltre alla sua capacità come prestigiatore, ricordo di un suo aneddoto sul fatto che odiava lavorare alla Ferrari. Che i suoi colleghi erano orgogliosi e la domenica indossavano le felpe e i cappellini con il logo del cavallino rampante, mentre lui, un giorno pur, di non lavorare, si era dato una martellata su una mano. Io facevo un lavoro che odiavo, in quel periodo (cioè lo odio anche adesso, però diciamo che la prendo più sul ridere), e mi riconobbi tanto nelle sue parole. Dopo la conferenza gli strinsi la mano, lui rimase a chiacchierare e non si sottrasse a domande e curiosità.
Mi ricordo di un pezzo di Aldo Busi che raccontava di avere intervistato Juliette Greco, una grande chansonnière francese, e che lei era bellissima e regale e che si era comportata come una persona comune, durante la loro chiacchierata. La conclusione di Busi era “le mezze seghe se la tirano” mentre chi è grande veramente no. Viviamo, e alcuni di voi lavorano, in un ambiente dove l’atteggiamento di tanti cosiddetti professionisti è quello snob e con la puzza sotto il naso di chi non ama avere a che fare con persone che non reputa al proprio livello.
Guardando Aldo Colombini ci sono tre cose che ho imparato. 1. La gentilezza e la professionalità di chi aveva il piacere di condividere la propria conoscenza e il proprio bagaglio magico. Non gli ho mai sentito dire “questo trucco non lo spiego”. 2. La voglia di avere a che fare con gli altri, di parlare, di confrontarsi, di raccontare. 3. L’umiltà di sentirsi un mago e non un Signore della Magia. Sono passati anni e ogni tanto, nelle conferenze di qualche prestigiatore, ho sentito citare Aldo come ispiratore, come amico, come maestro. Io l’ho visto comportarsi come una persona gentile e amichevole.
Ho recentemente pubblicato due libri e mi capita di girare per presentarli o di ricevere lettere da persone che l’hanno letto che vogliono parlarne o cercano consiglio. Mi ricordo sempre di quella conferenza e non ho mai pensato di dire “non ho voglia, arrangiati”, ma, anzi, ho sempre sorriso e cercato di rispondere al meglio.
E quindi il mio ricordo di Aldo Colombini è questo: di qualcuno che sorrideva e che non si sentiva il grande Aldo Colombini. E, se ci si sentiva, era capace di farti vivere la sua grandezza come se fosse quello che incontri al bar e ci dividi un bicchiere di quello buono. Aldo Colombini è stato gentile, amichevole e capace di spogliarsi dell’ego per essere una bella persona. Non sono in tanti capaci di fare lo stesso. Mi ritengo fortunato di avere imparato questo da lui.