Oggi leggevo un articolo sul New York Times (dio, come fa figo scriverlo. Lo è meno se pensate che, mentre lo facevo, ero in pigiama, seduto al tavolo da pranzo, coperto di peli di gatto) che parlava sulla possibilità di spingere due persone a innamorarsi. L’articolo parte da un esperimento scientifico e chi l’ha scritto ha deciso di provare per vedere se funzionava. Parte dell’esperimento è sedere con la persona scelta e rispondere a 36 domande. Le ho sbirciate, saltando da una all’altra, senza continuità, e sono arrivato alla numero 34: se la tua casa stesse prendendo fuoco, salvate le persone care e gli animali domestici, avendo ancora il tempo per entrare e prendere una sola cosa, cosa sarebbe?
Sono rimasto a fissare lo schermo e poi ho realizzato che sarebbe stato il mio portatile.
Sul momento mi sono detto che era perché volevo salvare le cose che ho scritto e che sono salvate nel suo hard disk: il nuovo libro, dei vecchi pezzi che non ho mai usato, ma che ho salvato in appositi file perché possono tornare utili o perché, ogni tanto, li rileggo e cerco di capire come mai sono nati, di cosa parlano e se si possono rimaneggiare.
Mi sono poi accorto che, in realtà, buona parte delle cose che ho scritto sono salve su un HD esterno, assieme a serie TV e musica e altri file che arrivano da troppo tempo perso in giro per la rete (sì, c’è anche del porno, OVVIAMENTE c’è anche del porno). Però non ho pensato “allora salvo l’HD esterno”. Ho continuato a pensare che avrei salvato il portatile.
Ed è stato lì che ho realizzato che lo avrei fatto perché ci identifico la possibilità di scrivere cose nuove, di scrivere ancora, di creare ancora. Certo, lo potrei fare su qualsiasi pezzo di carta e le Moleskine che ho in giro ne sono la dimostrazione, ma il punto è che mi sono ricordato che mi piace scrivere perché amo la scrittura in sé. Perché mi piace sedermi e buttare giù storie e raccontarle e scoprire se piacciono a chi le ascolta. Perché quando giocavo di ruolo e facevo il master sono sempre stato disinteressato alle regole e preferivo creare storie su misura per i giocatori. Perché quando parlo di cinema di rado parlo di tecnica di regia e montaggio e luci e suono, ma mi piace parlare di dialoghi e sceneggiature.
Perché scrivere mi fa stare bene e quando non ci riesco, come recentemente mi è successo per diverso tempo, sto male. E non dico di essere bravo, di essere un grande narratore, tutt’altro. Sono un medio scribacchino che è capace di imbroccare qualche buon momento, nella sua medietà, ma non è questo il motivo per cui scrivo. Il motivo per cui scrivo è che amo la scrittura. E c’è stato un momento, anni fa, in cui l’ho capito e ho smesso di preoccuparmi e ho continuato a farlo per il piacere di. Perché è bello. Perché respiro. Perché è una delle poche cose che mi fa stare sereno. Perché è una delle poche cose che faccio per me, non per gli altri.
Mi sono guardato in giro e ho visto cose che brucerebbero, nella casa: televisore, la collezione di film o di vinili, le console, i libri. Ma avrei salvato il portatile e, dopo, avrei potuto raccontare dei film e dei vinili e dei libri e delle console. Ne avrei scritto. E non sarebbe servito altro.
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