È successo una sera. Era il 7 Maggio, per la precisione.
Ci giravo intorno da un po’. Dicevo “ci sono quasi” e “manca poco” e “sono lì lì”. Poi però non c’ero davvero davvero. Nel senso che sapevo che stavo arrivando, ma era una distanza un po’ annebbiata, che non sapevo di preciso quanto fosse.
E poi, la sera del 7 Maggio, mi sono seduto sul divano e ho aperto il portatile e ho cominciato a scrivere. La gatta, di solito, corre a mettersi sulle mie ginocchia per dormire, è un rituale che abbiamo e che spiega perché, quando voglio scrivere, vado al bar sotto casa (quello e l’alcool, ovviamente).
Quella sera lì non è stata da meno, ma ho sistemato il computer di traverso, sul bracciolo del divano, così da poter continuare a ticchettare sulla tastiera, mentre lei dormiva. E ho scritto.
Non so bene, quando è successo e come, ma c’è stato un momento in cui poi ho pensato “oddio, ci sono” e la distanza era chiara e la fine del viaggio era lì, davanti a me, che si avvicinava a grandi passi. Stavo lì e scrivevo e non riuscivo a fermarmi e le cose accadevano e le parole si imprimevano, più o meno, è sempre un computer, sullo schermo. C’era musica, quella sera lì, come ogni volta che scrivo. Ascoltavo The White Buffalo e Bob Dylan e, curiosamente, nessuno dei due è finito nelle pagine che ho scritto che, per contro, sono piene di musica varia.
A un certo punto ero arrivato alla fine. Ho proprio scritto la parola. E sono rimasto lì, a fissare lo schermo. Poi mi sono alzato e sono andato a dormire.
Un paio di settimane dopo, ho ripreso il libro e ho cominciato a rileggerlo e a modificare, correggere, tagliare. Ho preso un personaggio che era nato in un modo e che si era modificato lungo la strada e l’ho reso più uniforme. Quando sono arrivato a quelle ultime pagine, che pensavo avrei dovuto rimaneggiare pesantemente, ho scoperto che, invece, ancora mi piacevano. Ho giusto limato qualcosa. Ancora sono qui che ci ripenso e le rileggerò ancora, ma forse no, forse vanno bene così.
Ieri ho finito la revisione e ho cominciato a rielaborare il testo a video, così da mandarlo al mio editor. Mentre leggevo la prima stesura, mi sono annotato in fondo al manoscritto i brani che venivano suonati (non citati, proprio quelli che i personaggi sentono suonare) con l’idea di fare una playlist per Spotify e YouTube dei pezzi in questione, scoprendo che sono oltre quaranta, cosa che neanche io mi aspettavo.
Mi hanno chiesto quanto ci è voluto, per scriverlo. Credo che, togliendo un lungo periodo di blocco dovuto a un progetto che mi ha preso tempo, ci si aggiri intorno all’anno. C’è stata un sacco di roba, nel mezzo. Nuova musica, persone entrate e uscite dalla mia vita, vestiti e anelli e bicicletta, un paio di estati, pochi viaggi, tante mail, tante telefonate, tante chiacchierate su Whatsapp, di nuovo libri, musica nuova e vecchia, una nuova chitarra e persino un ukulele. Sto cercando di capire quanto sono diverso, rispetto al me che ha cominciato a scrivere e non riesco a trovare una risposta. Credo di no, per buona parte. Una piccola parte sì e quella piccola parte è importante.
Cosa farò, ora? Mi aspettano tre mesi di estate e lavoro e ferie e non sono ancora sicuro di molte cose. Ma credo che andrò in vacanza, a un certo punto, e viaggerò. Proverò ad andare da qualche parte. Da solo, in compagnia, ma da qualche parte. Voglio sedermi in posti sconosciuti a guardare gente che non so chi sia e a cercare di capire come vive. Voglio rimettermi a scrivere, ho già un’idea, devo solo cominciare a far uscire le parole.
Ma, soprattutto, voglio vedere cosa arriva, senza fare troppi progetti, anche se ora so che dovrei farne parecchi. A volte ci si concede dei lussi. Cellulari, viaggi, vestiti, elettronica, cene costose.
Il lusso che mi concedo, stavolta, è di andare a vista, alla giornata e di farlo respirando a pieni polmoni.
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