La dietologa si è complimentata perché ho ridotto la massa grassa e ho messo su massa muscolare.
L’allenamento due volte a settimana. La dieta.
Non ci vedo più molto bene. Dovrei andare da un oculista, ma continuo a rimandare.
Mentre faccio tutte queste cose, mentre mi capita di pensare ai dottori e alle visite e agli esami, mi guardo allo specchio degli ascensori che prendo ogni giorno. Ci vedo il me stesso piú vecchio, con più bianco di quanto ricordassi, nella barba; con meno peso di quanto ricordassi, nel corpo. Sempre malmostoso, sempre stanco, ma anche meno insicuro, su certe cose.
Non c’è un modo per dire come andranno le cose. Non c’è un modo per descrivere come sto.
Come in un ottovolante. Come dentro un barile con i piranha. Come un pisello in un bacello. Ogni giorno è differente.
Ho ricominciato a scrivere. Ho ricominciato a farlo con un sacco di insicurezza e di incertezze. Va bene? Funziona? So di cosa sto parlando? Sto andando da qualche parte o sto girando a vuoto? Mi piace?
Ma ho anche ricominciato a provare piacere, mentre lo faccio. A sentirmi bene, mentre lo faccio e dopo. A chiedermi cosa ci sarà nella riga dopo, nella pagina successiva, nel prossimo dialogo. A prendere appunti su idee che mi vengono. A fermarmi e a smettere di fare quello che sto facendo, mentre penso a evoluzioni, scene, svolte.
Soffro il caldo, ma amo l’estate. Per la prima volta, consapevolmente, come scelta, non sto ascoltando ad anello Summer in the city. Qualcuno mi disse “trovati una nuova canzone, per la tua nuova vita”. Ancora la cerco e, nel cercarla, ascolto un sacco di cose, alcune molto buone, alcune molto meno.
Il mio iPod che sembrava morto è ancora lì. Dal 2008 mi tiene compagnia. Ora, quando mi siedo a scrivere, decido di affidarmi a quegli artisti che ho scelto tempo fa. È come entrare in una casa che conosci bene e che ti fa sentire sereno, abbastanza da poterti mettere a scrivere, concentrandoti su te stesso ed estraniandoti dal mondo.
L’ultima volta che sono andato a Budrio, ho scoperto che la signora Afra ha, infine, venduto il bar. Non sono voluto andare a vederlo. Mi dicono che sia praticamente identico a prima, solo ritinteggiato e con qualche cambio, ma all’incirca lo stesso posto di sempre.
Ho deciso che ho bisogno di un posto dove scrivere, qui dove sono ora. Dopo un po’ di vagare, ho trovato un piccolo locale, decisamente troppo hipster, ma anche sufficientemente tranquillo da accogliermi nell’angolo che ho già deciso essere il mio, dove mi siedo, bevendo caffè americano e scrivendo.
Dal’altra parte del locale, in una stanzetta a parte, c’è un signore più grande di me che, a sua volta, scrive su un portatile. Ci vediamo ogni sabato mattina. Io con il mio caffè, lui con le sue birre. Scriviamo. Non abbiamo mai parlato, ma sempre mi chiedo cosa stia scrivendo. Un libro? Un saggio? Cose di lavoro. Lo guardo e mi chiedo se lui si faccia le stesse domande su di me. Chi è quel tizio più giovane di me che ha cominciato a venire qui? Cosa sta scrivendo?
Ho cominciato ad aspettare il martedì e il giovedì perché, nonostante mi massacrino, l’allenamento mi piace. Ho cominciato ad aspettare il sabato non solo perché week end, ma anche perché è il giorno dedicato alla scrittura.
Mi guardo negli specchi e ancora non mi metto a fuoco.
Forse domani.