Stavo scrivendo una roba a un’amica e, verso la fine, ho scritto, per indicare la reiterazione di una mia azione, “(ad lib.)”.
Dopo averlo fatto, mi sono ricordato da dove mi veniva, ‘sta cosa.
Quando ero molto giovine, un’amica di famiglia mi regalò due cassette e, entrambe, erano dei best of. Una era Greatest Hits II dei Queen, che segnò la nascita della mia storia d’amore con la band inglese, portata avanti in maniera maniacale con profondo affetto per molti anni (fino a che, oggi, grazie alla vostro rinato amore dopo il film Bohemian Rhapsody mannaggiaavoi se sento ancora una volta una loro canzone forse mi do fuoco in piazza).
L’altra cassetta era “Back to front”, un best of di Lionel Richie. Io non è che lo conoscessi molto, Richie, al periodo.
Per esempio conoscevo uno dei suoi pezzi più famosi (quel “We are the world” scritto con Michael Jackson e prodotto da Quincy Jones) senza sapere che fosse suo. Ma la sua produzione con i Commodores e dopo, direi quasi nulla.
Insomma, una delle canzoni dell’album si chiudeva in dissolvenza, con una frase ripetuta più volte. Nella cassetta c’erano i testi (caso raro) e nello specifico, metteva la frase e poi, a indicare la ripetizione con tanto di dissolvenza, appunto (ad lib.).
Da lì imparai a usarlo. Probabilmente a sproposito.
Ma il bello è che, tutto questo, mi è tornato in mente oggi, mentre scrivevo quella cosa alla mia amica. Mi sono ricordato tutto, delle cassette, dei best of, della scoperta di nuova musica.
La cosa brutta è che, in questo momento, STO ASCOLTANDO IL FOTTUTO LIONEL RICHIE.
Più correttamente, molti dicono ad limitum.
Ecco.