Era il 2013 e io avevo pubblicato due libri.
Ci sono un sacco di storie, su quel periodo, su cosa mi stava succedendo, sulla persona che ero, su quello che pensavo sarebbe successo.
Niente di epocale, perché, vista da fuori, è la storia normalissima di uno che vede realizzarsi uno dei suoi sogni e, sotto sotto, per quanto si schernisce, un po’ ci spera. Ma visto da dentro, era un momento molto particolare e molto folle, per me.
Un pomeriggio di Agosto ricevo una richiesta per ricevere messaggi da qualcuno che non è un mio contatto, su Facebook, e trovo scritto quanto segue: “Scusa Fabrizio se ti disturbo, intanto vorrei sapere se sei l’autore di: Di sesso,di amore… se si mi farebbe piacere parlarne grazie Claudio“.
Controllando chi era, questo Claudio, scopro che si tratta di Claudio Risi, figlio di Dino e fratello di Marco. Regista cinematografico.
Come potreste sapere, se mi conoscete da molto tempo, scrivere per il cinema era stato uno dei miei sogni di gioventù.
Contattai Claudio e parlammo un po’. Aveva letto il mio secondo libro, gli era piaciuto molto e gli sarebbe piaciuto riuscire a farne un film. Non sarebbe stato un progetto sicuro (anzi), né sarebbe stato un grosso progetto (lui accennò a un “film per Internet”), però avrebbe voluto incontrarmi e parlarne.
Claudio Risi ha diretto cose piccole e che sono, in un modo o nell’altro, legate alla mia infanzia. Tra tutte, penso che la cosa forse più riuscita (con tutti i limiti del caso) sia “I ragazzi della 3 C“. Il suo interesse nel mio libro, risvegliò contemporaneamente una serie di speranze che, ovviamente, seppellii sotto un metro e mezza di terra, e un certo terrore che potremmo riassumere in me che mi immagino seduto in una sala cinematografica, a guardare un film tratto da un mio libro nel quale è stata infilata a forza “aò famme ‘na pompa!”.
Incontrai Claudio a casa sua, a Parioli, e, un’altra volta, lui venne a Bologna con il suo sceneggiatore storico. Parlammo del libro, scrissi un soggetto e poi un trattamento. Era una persona affabile e gentile. Non so quanto ci fosse di serio, nel suo progetto, ma il fatto che una volta venne lui, invece di fare andare me, ho sempre pensato fosse comunque un gesto gentile.
La cosa, ovviamente, non andò mai in porto. Il suo ultimo messaggio era stato in Febbraio 2015, in cui si scusava per essere sparito, spiegando che la situazione non era delle migliori, ma che stava lavorando al nostro progetto.
Delle nostre chiacchierate ricordo che dava importanza a un sacco di cose alle quali io, a livello narrativo, non avevo mai pensato. Ricordo che mi disse “certo che [il protagonista] esce un sacco, la sera. Con il lavoro che si ritrova, come fa a pagarsi le bevute?”.
Negli anni ci siamo persi di vista. Io, ogni tanto, l’ho pensato, ma non gli ho mai scritto, perché, da un lato, lo consideravo un progetto naufragato, dall’altro non volevo sembrare quello che lo stressa e gli tira la giacchetta aspettandosi il tappeto rosso al Festival del Cinema di Venezia.
Per me, la collaborazione, per quanto breve e non baciata dal successo, era stata un’esperienza che lego a quel periodo così particolare.
Oggi, per puro caso, ho scoperto che Claudio ci ha lasciato. Complicazioni di un infarto, dicono.
E mi sono ritrovato a pensare che mi dispiace. Che ricordo quest’uomo gentile, seduto nel suo salotto luminoso a Roma, mentre parliamo del libro, dei personaggi e io, ogni tanto, lancio uno sguardo alle statuette del Telegatto che sono disposte su un tavolino e, dentro di me, penso che mai avrei pensato di vedere da così vicino le statuette del Telegatto.
Non direi che volevo bene a Claudio, né che eravamo grandi amici. A volte, nella vita, conosci qualcuno e lui attraversa la tua esistenza e poi va via. Se hai fortuna, ti lascia un bel ricordo.
Claudio mi ha lasciato un bel ricordo. E se è vero, come diceva il tale, che siamo immortali fino a quando qualcuno si ricorda di noi, Claudio si è guadagnato almeno un pezzetto di immortalità, finché dura.
Una bella storia.
Grazie mille.
Dovresti trarne un film