Off these bad times I’m going through just dance…

Raccontaci, se ti va, il tuo rapporto con la musica, quanto risuona ed è importante per te, che sia nell’accompagnare o nell’ispirare.

Sono cresciuto in una famiglia dai gusti musicali molto classici: mia madre è venuta su in una famiglia che riconosceva soltanto la musica classica e l’opera come forma di espressione musicale (assieme ad alcuni autori di canzoni tradizionali tedesche).
Mio padre ha assorbito la passione per la classica e l’opera, da mia madre, e con lei ha condiviso un certo amore per alcuni chansonnier francesi (Brel, Brassens, Juliette Greco) e italiani (Fabrizio De Andrè, Paolo Conte, alcuni pezzi sparsi degli anni ’50 e ’60).

Io sono quindi stato contaminato da queste sonorità perché il rock non era molto presente, in casa. I, pochi, dischi che avevamo erano opere e classica. Alle elementari e alle medie ci hanno fatto ascoltare i Beatles (chissà se si fa ancora).
Erano gli anni ’80, ma la mancanza di un segnale televisivo decente che non rendeva facile vedere le TV private e un certo disinteresse per la radio, mi hanno reso abbastanza impermeabile alla musica di quegli anni, per quanto ci fossi entrato in contatto tramite film e compagni di classe.

La mia prima, grande passione musicale sono stati i Queen che, con il senno di poi ed essendomi confrontato con un certo numero di persone lungo quella che comincia a non essere una corta vita, è tipo un passaggio attraverso il quale capitiamo tutti.
Freddie Mercury e soci sono stati la mia ossessione adolescenziale, basata su ricerca feroce di tutti gli albi (comprese cose come In nuce, la raccolta dei pezzi degli Smile e il primo singolo sotto il nome Larry Lurex), sull’indossare magliette della band (con tanto di maglietta portafortuna che indossavo prima di ogni interrogazione), conoscere a memoria ogni canzone, leggere la biografia e ascoltare tutta la discografia a ogni anniversario della morte di Freddie.
Nel frattempo ho cominciato a innamorarmi del hard rock, del southern, del punk, con punte nel heavy e le sue sotto categorie.

Oggi giorno sono uno che ascolta molte cose, ama pochi generi, non apprezza molti altri (per gusto o per limiti di età o anche solo miei). Ancora mi piace il rock, con le chitarre elettriche e la batteria picchiata, ma l’influenza dei miei genitori si riverbera nel mio amore per i cantanti folk degli anni ’70 (Dylan su tutti) e su certi vecchi autori che, probabilmente, ascolto solo io.

Ciò che amo della musica, o, perlomeno, del modo in cui ne usufruisco, è che quando scelgo di ascoltare qualcosa è perché, in quel momento, ha uno specifico compito da assolvere: farmi saltare e cantare, abbracciarmi se sono triste, farmi pensare ad amici, a luoghi e a tempi lontani.
Ha un grosso peso, quando scrivo, perché se scrivo ho sempre della musica in sottofondo (in questo momento, per dire, sto ascoltando i Flogging Molly) e, senza musica, mi viene difficile farlo. E ci sono state canzoni che con la loro musica o le loro storie o anche con solo poche strofe, mi hanno ispirato per storie o per passaggi precisi.

Soprattutto, la musica è il luogo nel quale mi rifugio quando la mia vita comincia a pesarmi e ho bisogno di riprendere fiato.
Frank Ocean disse “quando sei felice ti godi la musica, ma quando sei triste capisci le strofe”.
Mi accodo a lui.

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