You’re gonna make me wonder what I’m doing, staying far behind without you…

I tuoi innamoramenti – di autori, canzoni, film, luoghi – sono duraturi o poi perdono entusiasmo?

Sono una persona che si affeziona molto facilmente e sono decisamente tendente alla melanconia e alla nostalgia. In Limiti di Caparezza, c’è quella strofa che canta “nessuna logica mi salva, sai/ sono un fottuto nostalgico/ non mi riprenderò mai” che mi rappresenta al 110%.

Quindi, a volte, mi capita di sentire la mancanza anche di luoghi o situazioni che, sul momento, ho odiato. Per esempio: ci sono volte che mi manca il mio lavoro di organizzazione eventi, pur sapendo quanto ho odiato farlo. Ma il giorno dell’evento, essere in loco, vedere i pezzi andare al loro posto, avere a che fare con i fornitori con i quali avevo ottimi rapporti, era l’unica parte del lavoro che amavo (e che, comunque, non era sufficiente a controbilanciare la pressione, lo stress, le volte che i pezzi non andavano al loro posto, la mia capa).

Detto questo, però, quando mi innamoro seriamente, ciò che provo dura a lungo. Esempi classici: il mio amore per Parigi e per Londra, per la musica di Dylan o dei Flogging Molly, per Bologna, per certi libri, per molti (troppi, direbbe qualcuno) film.

Da un lato c’è il senso di sicurezza che proviamo nel tornare a ciò che conosciamo e amiamo. La sensazione di essere in territori esplorati, di poter essere rilassati e abbassare la guardia perché sappiamo cosa troveremo e che quel che troveremo non ci farà male.
C’è anche il desiderio di rivivere il piacere che abbiamo provato la prima volta (o le multiple prime volte) in cui abbiamo conosciuto qualcosa. Il senso di scoperta e di sorpresa nel trovare qualcosa che ci facesse stare bene, accettati, felici, rilassati, al nostro posto.

Dall’altro c’è il fatto che viviamo in un mondo fatto di multipli e incessanti stimoli. Lo dico con la consapevolezza del fatto che è colpa nostra, perché abbiamo voluto che fosse così e abbiamo deciso che i duecento social network ai quali siamo perennemente connessi fossero la nostra fonte di distrazione principale e, anziché limitarli, abbiamo voluto far parte di tutto in una esasperata corsa al vedere cosa succede in un luogo o nell’altro. Possiamo chiamarla FOMO o possiamo accettare il fatto che riempie quei momenti di solitudine in cui potremmo stare fermi e pensare a quello che ci succede, ma, per qualche ragione, questa è una opzione spaventosa che non vogliamo affrontare.
Per questa ragione torniamo a ciò che conosciamo, perché è l’oasi dove possiamo sederci e tirare il fiato.

Per quanto mi riguarda, ascoltare per l’ennesima volta You’re gonna make me lonsome when you go o guardare per l’ennesima volta Tootsie o Le prenom è come ricevere una carezza. Come sentirmi dire “va tutto bene, ci sono ancora cose belle nei giorni difficili e sono qui che ti aspettano”.

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