Tutto questo non può finire bene – Director’s cut

(curiosità e robe sceme sul nuovo libro. Ovviamente, se non l’avete letto, ci sono degli spoiler.)

  • La prima versione del libro doveva essere tutta ambientato nel viaggio tra Olbia e Nuoro, il giorno dell’arrivo del protagonista. Sarebbe stato una storia sulla strada, ma un’ora e mezza di viaggio non era un tempo adeguato. Quindi la seconda idea era di alternare capitoli del viaggio in auto, con flashback, ma questo faceva perdere il senso della storia sulla strada e, soprattutto, avrebbe richiamato troppo Fine della corsa, sempre ambientato a Nuoro.
  • Nella prima stesura del libro, veniva raccontata la giovinezza della nonna del protagonista, con alcuni capitoli che ne narravano alcuni momenti salienti. Questa idea è stata lasciata abbastanza presto, perché, da un lato, non apportava molto alla storia in sé e, dall’altro, non ero convinto di saper descrivere bene la Nuoro di quegli anni.
  • Il titolo originale del libro era Casa è ovunque non sia la tua famiglia, una frase che Riccardo pronuncia durante lo svolgimento dei fatti.
  • Dai libri precedenti fanno una comparsata il personaggio di Simona, da Fine della corsa, e si cita Dante, da Nessuno più scrive belle canzoni, che è riuscito alla fine a pubblicare un nuovo album.
  • L’aneddoto di Gesù seduto al tavolo di un bar è nato ascoltando Are you drinkin’ with me Jesus? dei Jello Biafra, dall’album Prairie home invasion.
  • La linea guida del libro è il ritornello di Like a rolling stone di Bob Dylan: “Come ti senti? Come ti senti? A stare per conto tuo, senza una direzione verso casa, un perfetto sconosciuto, come una pietra che rotola”.
  • Il modo in cui Alice guida il motorino è ispirato a un delirante viaggio fatto per Genova, nella macchina guidata dalla mia amica Carlotta.
  • La parte in cui Arianna, Riccardo e Renato raccontano delle proprie disavventure sentimentali, è tratta dai racconti di amici e conoscenti,
  • La canzone di Simon & Garfunkel a cui fa cenno Riccardo è America, dall’album Bookends.
  • La frase “No, aspetta la cosa diventa difficile. Hai detto “un vestito da clown”, vero?” è una parafrasi di una battuta di Harry, ti presento Sally.
  • Il dialogo tra Riccardo e il suo agente su Superman è un richiamo a quello tra Dante e Johnny in Nessuno più scrive belle canzoni.

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Tutto questo non può finire bene (ma un po’ ci si spera)

E quindi, domani esce il nuovo libro per la Blonk.
Come ho già avuto modo di dire, pure troppo, ma si fa così, dicono, si intitola Tutto questo non può finire bene.
La quarta di copertina recita così:

Riccardo torna a Nuoro per il matrimonio della sorella sapendo due cose: odia tutta la sua famiglia e che il vero motivo per cui continua ad averci a che fare è sua nonna, vera figura materna della sua esistenza. Ma al suo arrivo lo accoglie la notizia che l’amata nonna è morta.

Un rocambolesco fine settimana, tre giorni di avvenimenti, persone, momenti imbarazzanti, comici e drammatici. 

La discesa negli inferi di un uomo che cerca disperatamente di capire la sua vita, nonostante la sua vita sembri remargli contro.

Il libro prende spunto dal mio desiderio di scrivere una storia che avvenisse in uno stretto spazio temporale (la prima idea era di farlo svolgere in un viaggio in auto di un’ora e un quarto), per vedere come avrei gestito le tempistiche, il ritmo e gli avvenimenti.
È stata una scrittura lunga, complicata da una serie di variabili inattese come il cambiare paese, una pandemia, un lutto, la nascita di mia figlia e tutta una serie di cose con le quali non voglio annoiarvi perché, chi più, chi meno, ci siamo passati tutti e il fatto che mi paiano tanto importanti è solo perché sono capitati a me.

Mentirei se non dicessi di essere emozionato e nervoso, nonostante tutto, ma devo anche ammettere che la costante carenza di sonno che mi ha accompagnato negli ultimi tre anni e mezzo mi sta anche aiutando ad affrontare la cosa con meno tremarella delle volte precedenti.

Però il libro è qui e sono felice che sia arrivato e sono felice se lo vorrete leggere e dirmi cosa ne pensate, sia se vi è piaciuto sia se no, per carità, ascolta, proprio no.
Ho sempre detto che, quando scrivo, sottoscrivo un tacito patto con il mio lettore: quello di non fargli perdere tempo. Credo di esserci riuscito anche questa volta. Credo che, oltre a non perderlo, sarà anche del tempo ben speso, con alcuni momenti divertenti e altri, forse, commoventi.

Credo che scrivere, amare la scrittura, sia una delle cose più belle che mi sia successa nella vita.
E sono felice di condividerla con voi, chiunque e ovunque voi siate.

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Tutto questo non può finire bene- copertina

(Ciao, questo è la copertina del mio nuovo libro. Si intitola Tutto questo non può finire bene e uscirà per Blonk a fine Gennaio. La data precisa ancora non la sappiamo, ma intanto, oltre alla copertina ecco un altro pezzo del primo capitolo.)

Daniela torna e mi mette davanti una coppetta con delle noccioline. Ringrazio con un cenno del capo e mene infilo una manciata in bocca.
– Un funerale – dice lei, mentre sciacqua bicchieri e piatti che ripone nel cestello della lavastoviglie.
– Come hai detto, scusa? – chiedo.
– Va a un funerale. Per questo sta tornando a casa, perché è morto un suo parente e sta andando alfunerale. Questo spiegherebbe perché è così di cattivo umore.
– Promettimi che anche tu non lascerai il tuo lavoro per cominciare la carriera di veggente.
Sorride e con pochi gesti precisi chiude la lavastoviglie e la fa partire.
– Sto andando al matrimonio di mia sorella. E già questo sarebbe un ottimo motivo per essere di cattivo umore, concordi?
– Perché? Non è felice che si sposi?
– Sono molto felice che si sposi e questo per la semplice ragione che l’argomento “allora, Teresa, quando vi sposate?” che salta fuori a ogni pranzo di famiglia finirà finalmente in archivio.
– Però – dice lei, alzando un dito – ora cominceranno a chiederle quando farà dei figli.
– Oh no, quello non mi preoccupa. È già incinta. Al quarto mese, per la precisione.
– Ah.
– E no, non si sta sposando per quello.
– Non lo pensavo.
– Invece sì. E non devi sentirti in colpa per essere stata così banale e allusiva, è normale, lo hanno pensatotutti. L’ho pensato anche io che so che non lo fa per quello.
– Va bene – dice, ma non sembra convinta. – Allora come mai non è contento?
– Perché odio la mia famiglia. Davvero. Non è una posa, non è un modo di dire. Non li sopporto. Nessuno. I miei genitori, i miei fratelli, i miei zii, giù fino all’ultimo parente acquisito. Non sopporto nessuno di loro.
– Non è possibile.
– Giuro.
– Nessuno odia tutta la sua famiglia.
– Hai davanti a te il primo esemplare della specie, allora. Dovresti farmi una foto e aprire una paginaWikipedia su di me.
Mi studia con attenzione, poi va da un cliente per fargli pagare il conto e io bevo ancora al mio bicchiere,rendendomi conto di essermi sbagliato. Quando fa ritorno, attiro la sua attenzione con un cenno della mano.
– No, in effetti, aspetta, non aprire la pagina di Wikipedia.
– Ah ecco, mi sembrava strano.
– Amo moltissimo mia nonna paterna.
– Vede? Nessuno odia tutta la sua famiglia.
– Sì, è vero, mi sbagliavo.
– Quindi dovrebbe essere contento di vedere almeno lei.
– Lo sono. Lo sono – ripeto, annuendo. – È una persona splendida e la amo da morire. Ho sempre detto che,invecchiando, sarei voluto diventare come lei che è saggia e amabile e amata.
– E invece… – dice lei.
– OK, tanto per cominciare mi offendo moltissimo che tu dica “e invece” perché sottintende che tu non mi riconosca nessuna delle tre caratteristiche qui sopra.
Non dice nulla e arriccia le labbra.
– Almeno “saggio”, forza. Passino gli altri, ma non puoi sapere se sono saggio o meno, ci conosciamo appena.
Continua a non dire niente e sospira, paziente.
– E invece sto diventando come mio padre – ammetto, alla fine, sconfitto.
– Suo padre non può essere così male.
– Come puoi dirlo? Non sai neanche com’è fatto.
– L’ha tirata su e, nonostante lei lo odi, non l’ha ancora uccisa. Deve avere dei lati positivi.
Finisco il whisky, poggio il bicchiere, il ghiaccio che tintinna.
– Ho deciso che ti odio, Daniela. Scordati la mancia.
– Non me l’avrebbe data lo stesso.
– È vero – ammetto.

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Tutto questo non può finire bene – Incipit

(Ciao, questo è l’incipit del mio nuovo libro. Si intitola Tutto questo non può finire bene e uscirà per Blonk a fine Gennaio. La data precisa ancora non la sappiamo, ma intanto queste sono le prime righe.)

Avrei serie difficoltà a spiegare perché odio la mia famiglia.
Ci sono ragioni, alcune serie, altre molto meno, che mi hanno condotto alla situazione attuale. Sicuramente,
lo dico onestamente, anche io ho fatto la mia parte non dico per evitare, ma neanche per cercare di attutire e
rallentare l’inesorabile disgregazione della nostra relazione.
Se morissimo tutti nello stesso istante e ci trovassimo davanti al Signore, sempre ammesso che ne esista
uno, e ci chiedesse “be’? Che avete combinato?” sono quasi certo che nessuno di noi saprebbe spiegare i
singoli passi che ci hanno condotto a quel punto.
Quindi siamo così: persone che si conoscono, che dovrebbero volersi bene e amarsi e preoccuparsi l’una
per l’altra e, invece, da una parte ci sono loro, con il loro malanimo e neanche tanto velato fastidio quando mi
vedono, e io, con il mio rancore e il mio disprezzo quando ci ho a che fare.
Ai tempi dei romani, quando un ricco voleva lasciar andare uno schiavo e renderlo un uomo libero, gli
batteva sulla spalla con un ramoscello di olivo e ripeteva una formula davanti a un giudice nella quale
declamava che lo rendeva un uomo libero e che, da quel momento, non sarebbe mai più stato lo schiavo di
nessuno. I romani erano un popolo intelligente e avanti con i tempi e mi chiedo se non dovremmo fare la
stessa cosa con i nostri familiari. Arrivati a una certa età, diciamo trent’anni, il padre della famiglia dovrebbe
batterti sulla spalla e dirti “vai, sei libero. Non sei più tenuto ad avere a che fare con noi. Potrai farlo, ma sarà
tua libera scelta, ma se questo Natale preferirai stare sul tuo divano a mangiare cibo precotto e a guardare
l’ennesima replica di Una poltrona per due, anziché passarlo con noi, non avremo ragione per volertene”.
Anzi, a dirla tutta, credo che pure loro dovrebbero essere contenti della cosa, ecco.
E invece no. Siamo ancora qui, a frequentare parenti che non sopportiamo fino a quando non tirano le cuoia.
A fare finta di trovare simpatici zii e cugini che, se potessimo, butteremmo nel primo fossato che troviamo.
Non è vita, vero?

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Peace be with the troubled as the these times now make it clear…

La solita lista di dieci canzoni che ho sentito molto, in quest’anno musicalmente difficilissimo, che mi ha fatto scoprire pochissima musica, ascoltare moltissimi podcast e affidarmi a cose che conosco già, ascoltandole fino alla nausea, perché avevo bisogno di un porto sicuro dove riposare. Spotify è ormai regno incontrastato di mia figlia e, per trovare un pezzo ascoltato da me, si deve arrivare oltre le prime venti canzoni circa.
Però eccole qui. Dieci canzoni che mi hanno aiutato a superare l’anno e che spero ascolterete, trovando qualcosa che vi piace.

  1. These times have got me drinking / Tripping up the stairs – Flogging Molly
    Il nuovo album dei Flogging Molly mi è piaciuto abbastanza da ascoltarlo con una certa costanza, anche se mi è sembrato meno energetico, rispetto a quello a cui ci hanno abituato. Una delle loro canzoni tipiche, casiniste, in cui si parla di un passato di cui si sente la mancanza e di un futuro che non si capisce.
  2. Change – Big Thief
    Loro non so bene chi siano, ammetto di non essermi informato. L’album da cui proviene questo singolo, Dragon New Warm Mountain I Believe In You, era stato segnalato in una puntata del podcast dell’Eurovision del Post e l’ho messo su, scoprendo questa canzone, bellissima e struggente, che, come dissi ai miei amici a cui la segnalai, è un classico caso di quando dici di una canzone che “sembra che parli di me”.
  3. Questo mondo non mi renderà cattivo – Path
    Ovviamente è saltata fuori dall’omonima serie di Zerocalcare. Ho sentimenti contrastanti perché è una canzone che, da un lato, mi piace moltissimo per musiche e certe strofe, ma dall’altro lato mi snerva per scelte di parole che trovo buttate lì e un certo lassismo nella storia dietro. Però l’ho comunque ascoltata molto, perché, in qualche modo, mi ha preso lo stomaco e lo stritolato ben bene.
  4. Affogare – Legno
    Ma non riesco e poi esco e ti incontro per strada con uno stronzo che non sono io…
  5. Girl from the North Country – Bob Dylan
    Nel grande filone delle canzoni di Dylan che parla di una ragazza lontana e chiede a un amico di andare a dare un’occhiata se vive ancora lì in quel posto lontano e come sta, ché lui se la ricorda bene. Il tutto con la sua chitarra e quella voce lì, ché può anche non piacere, e però ogni volta che canta, per me, è come ascoltare un vecchio amico.
  6. What might have been – Regina Spektor
    A tutti piace una storia d’amore sul c’era una volta e su cosa sarebbe potuto essere…
  7. Fast car – Tracy Chapman
    Ho una giustificazione sul perché, nel 2024, sto ascoltando Fast car di Tracy Chapman? Assolutamente nessuna. Eppure è stata spesso nelle mie orecchie, quest’anno.
  8. Delusa da me – Coez
    È con enorme vergogna che ammetto che mi piace una canzone di Coez. Ora andateci piano con le prese per i fondelli, vi prego.
  9. Classico – Articolo 31
    Eh lo so. Ma gli Articolo 31 sono un pezzo della mia vita e questo pezzo, incredibilmente, mi sento di dire, ha delle trovate notevoli, J Ax non pare spompato come ormai spesso accade e DJ Jad ha tirato fuori un sound che ti rende impossibile non battere almeno il piede per terra.
  10. Kingdom for a fool – The White Buffalo
    L’ultimo album di The White Buffalo non mi è piaciuto quasi per niente, a parte alcuni pezzi. Come questo, sulla perdita dell’innocenza e della propria strada, quando ti ritrovi a seguire una corrente che non avevi neanche mai previsto di incrociare, in vita tua.

Giusto per onestà metto su i primi dieci pezzi dei più ascoltati quest’anno, rigorosamente secondo il gusto di mia figlia.

  1. Qué hay más allá – María Parrado (dalla colonna sonora di Vaiana in spagnolo)
  2. You’re welcome – Dwayne Johnson (dalla colonna sonora originale di Vaiana)
  3. Com on Eileen – Dexys Midnight Runners
  4. Bellissima – Annalisa (grazie nonna di Lara, grazie)
  5. Let it go – Idina Menzel (dalla colonna sonora originale di Frozen)
  6. Where you are – Christopher Jackson (dalla colonna sonora originale di Vaiana)
  7. We don’t talk about Bruno – Un sacco di gente (dalla colonna sonora originale di Encanto)
  8. In summer – Josh Gad (dalla colonna sonora originale di Frozen)
  9. America – West Side Story Ensemble
  10. A cover is not the book – Emily Blunt e Lin-Manuel Miranda (da Mary Poppins Returns)
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Un post sotto l’albero

– Quindi?

– Cosa?

– Che vuoi per Natale?

– Ah. Mah. Sai che non sai mai cosa rispondere?

– Eh ora fa il virtuoso lui…

– Ma no, non è quello. È che mi rendo conto che ci sarebbero un sacco di cose che comprerei, ma sarebbero tipo sfizi, non cose che veramente vorrei o che sfrutterei a dovere.

– Tipo?

– Non so…tipo uno smartwatch, ecco. O la Nintendo Switch, anche.

– Vuoi farmi credere che non giochi ai videogiochi?

– No, voglio dire che, ormai, ci gioco molto poco e starebbe lì a prendere polvere.

– Capisco.

– Ma non mi credi.

– Non me ne frega abbastanza da chiedermi se ti credo o no.

– Oh Cristo…

– Eddai, ci sarà qualcosa che vorrai.

– Non lo so, davvero. Tipo un libro di cucina. 

– Un libro di cucina.

– Sì, tipo che mi piacerebbe imparare un po’ di ricette della cucina cajun.

– Che cosa cucinano? Il canguro?

– Non sono mica australiani. I cajun sono della Louisiana.

– Che culo, la cena me la prepara Alberto Angela.

– Guarda che sei tu che mi stai stressando perché vuoi parlare di regali di Natale.

– È proprio l’opposto: ti sto stressando perché non mi parli del regalo che vuoi.

– Ma perché ti interessa, scusa? Mi vuoi fare un regalo?

– Ma figurati, non ci penso proprio.

– E allora?

– E allora cosa?

– Perché me lo chiedi?

– Sei tu che te lo chiedi. Io sono solo una voce dentro la tua testa che ti stai immaginando.

– Ah è vero.

– Non dirmi che te lo eri dimenticato.

– Be’ dimenticato no, però…

– Nessuno parla così.

– Così come?

– Con questo botta e risposta così preciso, così ritmato.

– Ma non è vero.

– Sei una via di mezzo tra un personaggio di Sorkin e uno di Tarantino.

– Be’ dai…

– Ma in versione discount. Tipo comprato su AliExpress.

– Cristo, ma perché parlo con te?

– A questo puoi rispondere solo tu o, eventualmente, il tuo strizzacervelli.

– Già.

– Ci vai?

– Dallo strizzacevelli?

– Eh.

– No. 

– Dovresti.

– Ci ho provato.

– In che senso ci hai provato?

– Mi ha ghostato.

– …

– Giuro.

– Be’ non posso dire di non capirlo.

– Perché la cosa non mi sorprende?
– Non sei capace di rispondere alla domanda “cosa vuoi, per Natale?”, immaginati a rispondere “sogni mai di scopare tua madre?”.

– Nessuno psicologo chiede una cosa del genere.

– Non puoi saperlo. Sei stato ghostato.

– Gesù.

– Bestemmi un sacco, per essere uno che non crede in Dio.

– Non ho mai detto di essere coerente.

– Anche questo è vero. Allora, che vuoi per Natale?

– Tre notti filate di sonno in cui dormo bene. Non pensare tanto a mio padre. Non pensare così spesso a che razza di idea ho avuto a fare nascere una figlia in questo mondo qui. Non passare le giornate aspettando che qualcosa di brutto accada. E non avere così tanta paura del mio futuro, degli errori fatti, di quelli che farò, delle scelte che devo compiere e che non sono sicuro di comprendere fino in fondo.

– Mh.

– Mh.

– E quindi, cucina cajun, eh? Dai, apri Amazon, vediamo se c’è qualcosa.

– Sì, meglio.

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Tutto questo non può finire bene

E quindi a Gennaio esce il nuovo libro. Si intitola Tutto questo non può finire bene ed esce per Blonk.

Tutto questo non può finire bene è una storia a cui tengo molto per quattro motivi. Intanto perché mi permette, mentre introduco i personaggi di questo libro, di portare avanti, in parte, alcuni dei personaggi dei libri precedenti, in questa specie di Casuverse che ho cominciato, a un certo punto.

Poi perché si svolge di nuovo in Sardegna ed è il risultato di un parziale riavvicinamento alla mia terra e alla mia città (ché non è che ci vogliamo bene, ma ci guardiamo con meno diffidenza, ora).

È, inoltre, una storia che si svolge in tre giorni e da tempo volevo scrivere un arco narrativo in un tempo limitato (la prima versione prevedeva che succedesse tutto in un viaggio in auto di due ore), perché mi affascinava il cercare di far quadrare tutto.

Infine ci tengo molto perché sono passati un sacco di anni, da quando ho cominciato a scriverlo e, nel mezzo, mi è successo davvero di tutto e ci sono stati un sacco di momenti in cui ero sicuro che non lo avrei mai finito di scrivere.

E quindi eccoci qua. Arriveranno altre cose, sul libro, nei prossimi giorni. Intanto mi pareva importante mettere un punto e dirvi che, se volete, tra poco potrete leggere qualcosa di nuovo che ho scritto io.

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And the history books forgot about us…

Ci sono giorni in cui le parole escono fuori con difficoltà. Scivolano tra le dita, tra i denti. Rimangono lì, nella tua testa, nei tuoi occhi, a volarti davanti, invitandoti a prenderle e a farle vedere a tutti, ma non ci riesci…

Ci sono giorni in cui il fai tante cose, davvero TANTE cose, ma nonostante questo arrivi a fine giornata e hai la sensazione di non avere combinato molto. Di non avere fatto quello che conta fare. Quello che vorresti fare. Se il tempo, le energie e l’umore fossero dalla tua parte.

Ci sono giorni dove elenchi le cose che devi fare, la lista degli impegni che hai preso, che stai per prendere, che prenderai. Ed è una lista lunga e spaventosa e non diminuisce mai.

Ci sono giorni che hai dimenticato le cuffie a casa e non puoi ascoltare la tua musica, ma poi nel tuo posto preferito mettono i Beatles e allora va bene, dai, va bene lo stesso, va bene così.

Ci sono giorni che sei stanco. Ma hai cose da fare. E allora sorridi, ché almeno tu puoi farle. Anche per te che non puoi più.

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Cose del 2023

Ho smesso di stare su Facebook. Mi rubava un sacco di tempo che spendevo semplicemente scrollando, vedendo uno status ogni cinque pubblicità e, spesso, era di persone con le quali non condividevo più niente da anni, ma che non volevo né cancellare, né nascondere.
Non so se la mia vita sia molto meglio, a dirla tutta. Di sicuro ho molte meno occasioni per incazzarmi perché qualcuno che non conosco o conosco appena fa qualche sparata offensiva su qualche tema e, di sicuro, non sento la mancanza delle pagine suggerite da Zuckenberg.
Leggo in posti più specifici, che parlano di cose a cui sono interessato. Leggo meno persone, ma che trovo stimolanti. Il tempo lo perdo ugualmente, ma in modi che me lo fanno sembrare meno “perso”.

Per 11 mesi ho avuto idee su cose che mi piacerebbe fare, a livello professionale, per trovarmi a sbattere contro la seguente indiscutibile verità: ho 47 anni ed è troppo tardi per me per fare alcune, molte delle cose che mi piacerebbe fare. Tardi perché per poterle fare ci vorrebbero un numero di anni che mi permetterebbero di poter essere in grado di farle in una fascia di età in cui sarei ancora meno appetibile di adesso per il mercato del lavoro.
E fa strano pensare che quella cosa che ci si è ripetuti spesso o sentito dire un mucchio di volte, che il tempo passa e, a un certo punto, certe occasioni non sono più alla tua portata, è vera e che arriva senza grazia, senza bussare, ma semplicemente sedendoti sul tuo divano e mettendo i piedi sul tavolino.

Ho difficoltà a trovare nuova musica che mi piaccia. L’altro giorno stavo ascoltando Ani DiFranco, che non ascoltavo da quando avevo 20 anni, credo, e non è mai stata tra le mie preferite, ma a questo punto va bene tutto.
La playlist che Spotify mi propone ogni lunedì, intitolata molto orgogliosamente Discover Weekly, è stata ormai dirottata dal fatto che le cose che ascolto più spesso sono le canzoni dei cartoni animati che piacciono a mia figlia e, quindi, ogni lunedì, ho una offerta schizofrenica che passa da Frozen a Masha e Orso, passando per Gianni Morandi e Rita Pavone, infiltratisi grazie a un ascolto ad anello di Scende la pioggia e La pappa col pomodoro.
Però grazie alla newsletter di Luca Sofri, ho scoperto Bob Martin e il suo bellissimo album Seabrook. Lui ha un po’ di Dylan, ma alcuni pezzi, come il seguente, sono capaci di prenderti lo stomaco e stritolartelo ben bene.

Ho capito che ho alcune serie che guardo quando sono triste o preoccupato perché hanno una specie di effetto placebo sul mio sistema nervoso. Le metto qui, se qualcuno vuole recuperarle e magari scoprire che gli piacciono.
1. High Fidelity (una sola stagione, sta su Disney+);
2. The Newseroom (tre stagioni, io ce l’ho su HBO, ma ho anche il cofanetto e lo trovate su Amazon);
3. Studio 60 on the Sunset Strip (una stagione, cofanetto su Amazon);
4. Californication (sei stagioni, ma potete mollare intorno alla quarta, cofanetti su Amazon e, per motivi che mi sfuggono, la sesta stagione non è mai uscita in italiano) (oddio, forse è perché faceva schifo, ma sorvoliamo).

Regina Spektor ha fatto un concerto per la serie Tiny Desk, un anno fa, e ve lo metto qui perché è molto bello, lei è molto adorabile e mi imbarazzo a dire quante volte l’ho ascoltato finora, ma merita comunque un ascolto, se lei vi piace.

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Vedi sono stanco, come se fossi in viaggio da sempre…

Il mio portatile, quello che ho sempre avuto con me quando viaggiavo, su cui ho scritto libri, blog, lettere, post su diversi social network, ha cominciato a non funzionare più.

La montatura dei miei occhiali si è rotta e sta ancora insieme per miracolo, mentre la lente sinistra è graffiata e, sospetto, sia una delle ragioni per cui ogni tanto mi viene difficile vedere bene.

Ho preso appuntamento per il dottore per una visita di controllo e dovrei vederne un altro per gli acciacchi alla spalla e quando cominci ad avere più di un dottore forse è segno che le cose cominciano un po’ ad andare in quella direzione lì.

Sono passati tre anni e più e ancora non riesco a rassegnarmi alla morte di mio padre.
Per quanto sappia che sia normale, sentirne la mancanza, ci sono dei momenti in cui la sua assenza mi mozza il fiato.
Quando vedo mia figlia e penso come sarebbe impazzito, nel vederla giocare e ridere. O quando, al contrario, sono pieno di dubbi e paure e mi chiedo cosa avrebbe fatto lui. E mi chiedo, soprattutto, se ha passato le stesse cose che sto passando io. Se ha avuto i miei stessi pensieri, se si è posto le mie stesse domande.
So bene che non gli avrei parlato dei miei problemi, non di quelli più gravi, almeno, perché si sarebbe preoccupato e io non volevo farlo preoccupare. Avevo deciso, a un certo punto, che i miei genitori avevano già passato troppe notti insonni, pensando al destino dei loro figli, e che una volta raggiunta una posizione un minimo stabile fosse mio dovere smettere di farli stare in pensiero.
Ma il fatto di averlo lì, a portata, mi avrebbe fatto sentire meglio, più al sicuro. Lo ha sempre fatto, del resto.

Ho consegnato il nuovo libro, dopo la prima revisione, a quello stronzo del mio editor alla persona che con professionalità e affetto segue il mio lavoro e ora vedremo cosa succede.
Intanto ho cominciato a scrivere il nuovo ed è una cosa che fa uno strano effetto, perché era tanto tempo che non lo facevo. Finire l’ultimo era come ritornare in terre conosciute, per riannodare fili che si erano interrotti tempo addietro.
Ora è come entrare in una nuova casa, vuota, e chiedersi “cosa ci metto in quell’angolo?”. Sento quasi il profumo della vernice fresca e l’eco dei passi.

Respiro a fondo. Finisco il mio bicchiere e vado al lavoro.
Quello che succederà, lo vedremo poi.

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