Intermission /1

Inventa una storia con le parole nave, testamento, canguro, fragoline di bosco.

Jonah McFayden non avrebbe mai pensato che sarebbe morto su una nave.

“Ma del resto – ammise tra sé e sé, – mai avrei pensato che sarei salito su una di queste macchine infernali.”
Stava per aggiungere altro, nella sua mente, ma improvvisamente la salivazione aumentò e senti lo stomaco attorcigliarsi. Imprecò a bassa voce mentre, nello stesso momento, pregava il Signore di risparmiargli di vomitare ancora. Non che Jonah McFayden fosse mai stato un buon cristiano. Se per quello, non era neanche un buon protestante o un buon buddista. Jonah McFayden non aveva un buon rapporto con nessuna divinità e con quasi nessun rappresentante della stessa che calpestasse la cara, vecchia Terra.
L’unica era eccezione era per padre O’Dowdy, il parroco del suo paese, che era un maledetto baciapile, ma ogni venerdì sera beveva con lui al pub e, dopo qualche pinta, era più divertente e, visto come reggeva l’alcol, degno di rispetto.
Comunque, il Signore pareva non prendere sul personale l’ostilità di Jonah McFayden, perché gli risparmiò un altro round di vomito, poggiato alla balaustra di quella carretta che lo stava portando via dalla sua isola per andare incontro alla civiltà.

“Sotto vento, signore, mi raccomando”, esclamò un marinaio, ridendo, mentre gli passava accanto, le braccia cariche di pesanti corde spesse quanto il suo collo.

Jonah McFayden non lo insultò perché era troppo impegnato a tenere lo stomaco al suo posto, ma si appuntò di dirgliene un paio, quando si fosse sentito meglio. Se questo fosse mai accaduto, ovvio.

“Ragazzo…”, biascicò, fermandolo con una mano sulla spalla.

“Sì, signore?”

“Quanto manca all’arrivo?”

“Siamo appena partiti, signore”, rispose il giovane, con lo sguardo sorpreso. Non dovevano essere passati molti inverni, dalla sua maggiore età e sul volto rosso, brillavano due occhi di un verde splendente.

“Ma io”, disse Jonah McFayden allungando lentamente una mano e puntando con un dito tremante ” vedo la terra.”

“Quella è la riva da cui siamo partiti, signore”, rispose il marinaio, ridendo. Poi indicò un punto lontano, nella direzione opposta e sorrise, amichevole. “È lì che stiamo andando. Ci vorrà ancora una notte di viaggio, arriveremo con le prime luci del giorno.”

Jonah McFayden emise un gemito e si sporse oltre la balaustra, sentendo il vomito risalire come un vulcano in eruzione lungo il suo esofago.

“Credo che sarà uno dei giorni più belli della sua vita”, disse il marinaio, prima di allontanarsi ridendo.

Durante la notte, Jonah McFayden uscì di nuovo all’aria fresca: il mare era più calmo e il rollio delle onde, per quanto insopportabile, gli parve meno atroce. O forse aveva rimesso tutto ciò che poteva e ora nel suo corpo restavano solo le budella e il suo rancore verso il viaggio che aveva intrapreso.
Alzò lo sguardo e osservò il cielo stellato, limpido, godendosi le costellazioni che non vedeva da troppo tempo, da quando, nel suo villaggio, ogni strada aveva l’illuminazione anche di notte e, in questo modo, aveva privato tutti gli abitanti del piacere di ammirare l’immenso sopra di loro.

“Progresso, lo chiamano”, bonfocchiò con amarezza.

Si guardò intorno e vide il giovane marinaio seduto in un angolo, nel buio. Lo riconobbe perché il suo volto fu illuminato dalla punta rossa della sigaretta che stava fumando. Si avvicinò lentamente, desideroso di rinfacciargli la sua mancanza di tatto e supporto, ma in realtà conscio di essere troppo stanco per farlo.

“Buonasera, signore”, disse il giovane, con un sorriso.
Jonah McFayden rispose con un grugnito e un cenno del capo.
“Sta meglio?”
Lui scosse la testa e guardò il mare, nero come la pece. Uno spettacolo che gli metteva angoscia e desiderio di fuggire da lì, se mai fosse stato possibile.
“Primo viaggio in nave?”, chiese ancora il giovane marinaio.
“Così è”, rispose Jonah McFayden. “E se il cielo mi sarà d’aiuto, una volta tornato a casa, non ce ne saranno altri.”
“Che Dio l’ascolti, allora, signore”, rispose il giovane, facendosi il segno della croce.
Jonah McFayden grugnì ancora una volta e si sedette accanto a lui, lentamente, con cautela, cercando di intercettare ogni segnale che gli dicesse che stava per vomitare ancora.
“Guardi – disse il giovane, indicando il cielo, – quella è la costellazione del canguro.”
Jonah McFayden, che aveva alzato lo sguardo, volse gli occhi verso il marinaio, un’espressione tra l’indignato e il disgustato sul volto.
“Non c’è nessuna costellazione del canguro, non dire sciocchezze, figliolo.”
Il marinaio scrollò le spalle e diede un tiro alla sigaretta.
“Pensavi davvero che fossi così sciocco da cascarci?”, chiese, allora, Jonah McFayden.
“Non volevo farla cadere in nessun tranello, signore.”
“E cosa ti faceva pensare che avrei creduto all’esistenza di una costellazione del canguro?”
“Magari non conosceva le stelle.”
“Non dire sciocchezze, ragazzo. Quale uomo non le conosce?”
“Be’…io, per esempio”, disse il giovane, dopo averci riflettuto un attimo.
Ci fu un momento di silenzio, durante il quale i due si fissarono. Jonah McFayden cercava di capire se lo stava prendendo in giro, ma quell’altro aveva un’espressione tremendamente seria e, contemporaneamente, serena. Si grattava i capelli ricci con un gesto che denotava un leggero imbarazzo.
“Com’è possibile? Sei un marinaio.”
“Embè? Mica uno deve conoscere tutte le cose, no? So fare i nodi e leggere il vento e pelo le patate. Non ho avuto il tempo di imparare le costellazioni. Lo farà qualcun altro per me.”
“Ma tutti conoscono le costellazioni…voglio dire, a parte te, tutti le sanno.”
“Però tanti non sanno pelare bene le patate.”
“Figuriamoci”, sbuffò Jonah McFayden.
“Eh sì, signore, sì. Sono tutti bravi a dire qual è l’Orsa Maggiore e però poi li porti in cambusa e, insieme alla buccia, si tirano via metà patata e tu hai fame e ti rimane l’acquolina in bocca perché quella che doveva essere una zuppa di patate è a malapena un brodino di patate novelle.”
Jonah McFayden lo osservò di nuovo perplesso, ma il giovane reggeva il suo sguardo inquisitore senza dire una parola.
“Come se nei ristoranti – disse – non fosse pieno di giovani che tagliano le patate per bene. A pelo. Lisce. Senza sprechi.”
“Embè che c’entra? Nei ristoranti ti fanno anche una torta di fragoline di bosco che ti lecchi le dita, dopo averla mangiata. Lo so perché ne ho avuto al matrimonio di mia sorella. Si è sposata con uno che c’ha i soldi, un avvocato o qualcosa del genere, e c’era la torta con le fragoline di bosco ed era così buona che ne ho preso due volte e ho mangiato anche la fetta di mia nonna, che mia nonna è vecchia e ha quella malattia dello zucchero.”
“Il diabete.”
“Quella. Ma la vuoi sapere una cosa, signore? Non c’erano patate. Ci hanno dato un sacco di cose buone da mangiare, ma non c’erano patate. Qualcosa vorrà dire, no?”
Jonah McFayden, forse una delle prime volte della sua vita, non sapeva cosa rispondere. Si tastò le tasche e, quando trovò la fiaschetta di whisky, la tirò fuori e svitò il tappo. Il forte odore di alcol barricato lo fece sentire meglio, anche se non era sicurissimo di poterne bere troppo. Diede un sorso, con cautela, bagnandosi le labbra e godendosi il sapore, mentre il marinaio si accendeva un’altra sigaretta.
“Non devi lavorare?”, gli chiese, un sopracciglio alzato.
Quello scrollò le spalle e emise il fumo in dei bellissimi cerchi, perfetti e leggeri, che scivolarono nella notte, sparendo con rapidità dalla loro vista.
“Devo pulire il ponte”, ammise.
“Non passerai dei guai, se non lo fai?”, chiese Jonah McFayden, prima di bagnarsi ancora una volta le labbra. Stavolta si azzardò anche a bere un piccolissimo sorso, quasi infinitesimale.
“Tu ci faresti caso se il ponte è pulito o sporco, signore?”
“No, io no”, ammise lui. “Ma non è il mio lavoro. Magari il tuo capitano se ne accorgerebbe.”
“Eh infatti se ne accorge. Maledetto lui, vorrei sapere come fa. Forse è quello il suo dono, forse sa riconoscere i ponti puliti.”
“Magari non sa sbucciare le patate”, disse Jonah McFayden, abbozzando un sorriso.
Il marinaio lo guardò sorpreso per un istante e poi cominciò a ridere. Una risata rumorosa e franca, la risata di qualcuno che non ha molte occasioni per farle e, quando gliene capita una, non se la lascia sfuggire.
“Questa è buona, signore. Nossignore, non le pulisce le patate, lui. È il capitano, è troppo importante. Scommetto che, quando era un mozzo come me, non lo faceva lo stesso, perché ha la faccia di uno che non sa pulirle.”
“Il mondo si divide in due categorie, quindi?”, il giovane lo fissò con uno sguardo un po’ vuoto, la risata era già un lontano ricordo. “Ci sono due tipi di persone al mondo: chi sa sbucciare le patate e chi no. Giusto?”
“Giusto, signore.”
“Va bene”, disse Jonah McFayden, “ho visto classificare le persone in maniere molto peggiori di queste.”
Il giovane fece ancora degli anelli di fumo e poi gli diede di gomito.
“Posso chiederti dove stai andando, signore?”
“Puoi chiedermelo. Sto andando al funerale di mio fratello.”
“Oh signore, mi dispiace. Ti faccio i miei auguri, per la morte di tuo fratello.”
“Le condoglianze.”
“Quelle.”
“Grazie, sei molto gentile.”
Ci fu un po’ di silenzio e, come spesso accadeva negli ultimi giorni, da quando aveva ricevuto la lettera che gli annunciava che il fratello era passato a migliore vita, Jonah McFayden ripensò alla loro ultima conversazione, alle poche, terribili, parole che si erano dette e che avevano lasciato solo il freddo e l’eco del silenzio che si era instaurato tra di loro.
“Non si dovrebbe morire lasciando delle cose in sospeso”, disse, tra sé e sé.
“È vero, signore. Mio padre è morto lasciandoci un sacco di debiti e io sono su questa nave a pulire ponti, per questo.”
“Oh mi dispiace per te. Non deve essere una bella situazione,”
“Non lo è, signore. I ponti da pulire non finiscono mai, perché sono sempre sporchi e tu li pulisci e quelli si sporcano di nuovo. Sapevo che mio padre non ci avrebbe lasciato molto, non pensavo che ci sarebbe stata una lettera dove ci regalava le cose…come si chiama?”
“Il testamento?”
“Quello, signore. Non mi aspettavo che mi testamentasse, però non pensavo ci avrebbe lasciato dei debiti.”
“Tua sorella non ha sposato un uomo ricco?”, chiese lui, prima di sorseggiare un po’ di whisky.
“Invero sì, signore, ricco come quelli delle storie di persone ricche, con i castelli e i cavalli bianchi. Solo che lui non ce li ha, i cavalli bianchi. E neanche i castelli. Però ha una grande casa e ci sono dei cavalli e anche dei servi, se ho capito bene.”
“E quest’uomo non potrebbe darvi dei soldi per i debiti?”
“Oh no signore, non si può.”
“E perché?”
“Perché i debiti ora sono i miei, perché io sono il figlio maschio e ora sono l’uomo di famiglia e quale uomo chiederebbe alla sorella di dargli i soldi, soldi che lui che è l’uomo dovrebbe procurare?”
“Be’…non dovresti pulire ponti.”
“Già”, ammise il ragazzo e si ammutolì, poi scrollò le spalle. “Ma non posso. Sono l’uomo di casa. E posso pulire i ponti.”
“E pelare le patate.”
“A me piace pelare le patate, signore”, disse, quasi oltraggiato.
“Davvero?”
“Certo. Sono bravo a pelarle, io. Siete sicuro di stare bene, signore? Credevo avessimo già chiarito questa cosa delle patate.”
Jonah McFayden sorrise. Che strano incontro. Che strana notte.

Rimasero in silenzio, poi, di colpo, Jonah McFayden diede di gomito al ragazzo e puntò il dito verso il cielo.
“La vedi quella costellazione là?”
Il marinaio inclinò la testa e seguì nella direzione indicata dal dito.
“Sì, signore.”
“Che costellazione è?”
Ci fu silenzio. I due si guardarono e poi si sorrisero.
“È la costellazione della monaca zoppa, signore.”
“La monaca zoppa”, disse Jonah McFayden, sorridendo ancora. “Giusto. Non l’avevo riconosciuta.”

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