200

Sono seduto e sulle dita è ancora viva la sensazione dei tasti premuti, il cursore che lampeggia, sullo schermo, a metà di una frase, come a dire “be’? Non la finisci?”.
Il numero mi guarda dal fondo della pagina. In realtà sono 202, ma le ultime due sono pezzi che ho scritto e che ancora non so se utilizzerò per questo racconto o per un altro o, forse, mai.
Non sono mai arrivato a 200 pagine, lo ammetto, e non pensavo che ci sarei arrivato. Quando ho cominciato a scrivere questa storia volevo fosse breve. Mi dissi “non ci voglio mettere tanto tempo come per l’altro” (anche se l’altro l’hanno poi pubblicato, quindi forse c’avrei poco da lamentarmi). Ci sto mettendo più tempo, ovviamente.
E 200 pagine. Piene. Di roba. Di dialoghi (tantissimi). Di sesso (tantissimo). Di pensieri (troppi). Perché, quando ho cominciato a scriverlo, era un altro mondo ed ero un’altra persona, poi è cambiato il mio mondo, sono cambiato io e, per quanto le due cose attualmente non combacino quanto vorrei, alla fin fine devo accettarle e accettare che abbiano influenzato quello che scrivo; anche se, quando ho cominciato a raccontare questa storia, non c’era praticamente niente di me, lì dentro, e ora invece c’è moltissimo.
Quando ho cominciato a scrivere conoscevo solo l’inizio e la fine e qualche passaggio in mezzo. Ma poi, come classico dei personaggi, quel mezzo ha cominciato a cambiare, a espandersi e a volte a prendere strade che non avevo previsto. Mi è rimasto chiaro solo il finale (ma anche lì sento scricchiolare la mia sicurezza).
Quindi ho scritto a un’amica e le ho detto “200 pagine e non so come ho fatto” e lei mi ha detto “va bene così. Continua a raccontare fino a quando hai qualcosa da raccontare”. E quindi continuerò a raccontare, ché ho ancora alcune cose da dire, che ce l’hanno i personaggi ed evidentemente ancora ci sono delle cose che dobbiamo chiarire. Ché è come con gli amici, quelli veri: non ti va di lasciare questioni in sospeso, preferisci sempre che non ci siano dubbi e incomprensioni.
(in una nota più seria, ma non troppo: ho recentemente letto interviste e post di gente che scrive e si lamenta di come scrivere sia un’esperienza lancinante, che gli strappa l’anima a brandelli, perché li costringe a mettersi a nudo e ad affrontare i mostri interiori e se guardi troppo lungo dentro all’abisso l’abisso guarderà in te e chighidin. A me questo fa sorridere, perché io trovo scrivere un’esperienza divina, divertente, rilassante, a tratti frustrante, a volte capace di smuovere qualche pensiero un po’ triste, ma mai dolorosa o funerea. Magari potrebbero darsi al pilates.)

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4 risposte a 200

  1. Cristina ha detto:

    Giassai :*

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