C’è quello che parlava del come si storpiano le canzoni, quando le si canta. Il mio amico Ettore, per esempio, è uno specialista nell’inventarsi i testi sul momento, aggiungendo robe surreali, a sorpresa.
Però ci sono anche le incomprensioni. E mi sono venute in mente, leggendo il post del Many.
Mi sono ricordato di quella volta, una sera, in un oscuro bar, di quelli dove ci si infila per sbaglio e ti offrono cose da mangiare con l’aperitivo di dubbia qualità e freschezza.
Il sottoscritto, poggiato al tavolino, con davanti uno spritz, lo sguardo un po’ perso dietro a pensieri personali. Ogni tanto prende il cellulare, smanetta, poi lo mette giù e di nuovo a perdersi nei pensieri. E ancora e ancora.
Fino a quando non realizza qualcosa. Un qualcosa che arriva dalla canzone che sta suonando, passata dalle casse del bar, a cui non stava dando più di tanta attenzione, fino a quel momento.
Quel momento in cui mette giù il cellulare e, dal nulla, esclama: “Ah ma quindi Gianni Togni cantava ‘evviva le donne, evviva IL BUON VINO’?”.
Poi si guarda intorno e nota che nessuno aveva afferrato l’elegia di una notoria pratica orale come è capitato a lui, fino a quel momento. Allora riprende il cellulare. Ci smanetta. Poi lo mette giù. Si perde nei suoi pensieri.
Per un po’ saranno “ah. Buon vino”.