Roadies è una serie televisiva creata, scritta e (a volte) diretta da Cameron Crowe. Chi lo conosce sa che Crowe ha lavorato per Rolling Stones e che ha girato per anni con alcune delle rockband più importanti della storia. Elementi che si trovano già in alcuni suoi film, su tutti Almost Famous (che, se non avete visto, dovete recuperare, ça va sans dire). Roadies si getta in pieno in quell’ambiente, in quelle atmosfere e segue il dietro le quinte del tour di una band inventata. Ha i classici pregi e difetti delle opere di Crowe: colonna sonora da urlo, atmosfere che si tagliano con il coltello, personaggi a volte adorabili, a volte macchiettistici e insopportabili. Ma è una serie che si segue con piacere e la cui prima stagione, di dieci episodi, si è appena conclusa.
Reigns è uno di quei giochini all’apparenza scema, che provi perché ti incuriosiscono e sotto ai quali rimani come il peggio dei drogati. Siete il Re di un regno e vi viene proposta una carta con una data situazione, scorrendo a destra o a sinistra (sì, tipo Tinder, ma senza la cosa dello scopare. Non sempre, almeno) prenderete una decisione su come comportarvi. Le decisioni influiscono, oltre che sulla storia, anche su campi precisi (Chiesa, Popolo, Esercito e Tesoreria) e, ovviamente, non volete che nessuno di questi campi arrivi a zero (ma nemmeno che arrivino al massimo) pena la fine del vostro regno. La cosa notevole è che, prendendo certe decisoni si sbloccano nuovi set di carte, che c’è una trama orizzontale e che, una volta morto, il vostro successore continuerà da dove vi eravate fermati, dando vita a una lunga dinastia. In due parole: dà dipendenza.
Ci sono poche cose che mi infastidiscono, al cinema, quanto gli sprechi. Sprechi di materiale, sprechi di personaggi, sprechi di tempo (in questo caso, il mio). Suicide Squad ti fa cominciare pensando “Vabbè, dai, non è male, mica come leggi in giro” e, non sai come, ma a fine film ti ritrovi a pensare “mio dio, che schifo” (ho messo “schifo”, ma ho pensato “merda”, ma non lo volevo scrivere). Una pellicola che vive pesantemente rovinata dai problemi produttivi che tutti conosciamo e che non fa niente per nasconderlo, lasciandoti l’amaro in bocca della bella occasione mandata al diavolo senza una ragione che non sia, semplicemente, “oh raga, non abbiamo idea di cosa stiamo facendo”.
Dopo qualche anno, ho riletto Norwegian Wood, di Murakami. È stato un libro molto importante, per me, per tutta una serie di ragioni (la storia, i personaggi, lo stile). L’ho ritrovato bene, affascinante, ancora con un’atmosfera densissima, che ti trascina dentro e ti fa vivere il periodo in cui si ambienta. Per contro, ho trovato meno sopportabile il personaggio di Toru; forse perché sto crescendo, forse perché ho meno pazienza, ma mai un paio di schiaffi sul coppino avrebbero fatto migliore effetto.
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